Anoressia - Dr.ssa Irene d'Elia

Irene d'Elia
PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA PSICOANALISTA
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Orientamento lacaniano
Spunti di riflessione teorica sulla clinica dell’anoressia mentale
Irene d’Elia

Questo articolo è una piccola panoramica, non certo esaustiva, del pensiero e dell’insegnamento dello psicoanalista francese Jacques Lacan e degli ulteriori sviluppi dei suoi allievi, sulla questione dell’anoressia mentale. Vorrei proporre una riflessione teorica, un’interessante visione, che può essere uno strumento di ricerca nello studio di questa patologia. Nel mio lavoro, di osservazione clinica, queste teorie sono di grande attualità e supporto. Questo anima il mio desiderio di scriverne. Vorrei esporre,allo stato attuale dei miei studi, quanto penso possa essere utile a tutti quelli, professionisti e non, che sono interessatiad approfondire questo argomento. Il mio proposito è di rendere questo scritto più semplice e più chiaro possibile per essere letto anche da chi si accosta a quest’autore per la prima volta.
Tratterò brevemente alcune delle più recenti letture dell’anoressia. I contributi sono diversi e a volte in antitesi, questa ricchezza, consente al dibattito di restare aperto e di interrogarsi su questioni che rilanciano la ricerca e stimolano il rigore clinico in chi vuol dimostrare la validità della sua tesi.
Inoltre, vorrei premettere che, nella prospettiva dell’orientamento lacaniano,l’anoressia è un fenomeno che non è riconducibile ad una struttura a sé stante, ma esistono declinazioni singolari di anoressia nelle tre differenti strutture cliniche: psicosi, nevrosi e perversione.
Jacques Lacan
Lacan non ha mai dedicato uno specifico scritto all’anoressia, i riferimenti alla questione sono localizzati in alcuni snodi testuali precisi,in cui la sintomatologia anoressica ha la funzione di illuminare,di volta in volta,un punto preciso della sua costruzione teorico clinica. Cercherò di mettere in luce questi contributi teorici in ordine cronologico attraverso i testi di Lacan.
1938 I complessi familiari
In questo testo Lacan analizza tre complessi nella costituzione del soggetto: il complesso di svezzamento, quello d’intrusione e quello di Edipo. Nel complesso di svezzamento, complesso più primitivo dello psichismo e radicalmente diverso dall’istinto, rintraccia un trauma psichico i cui effetti individuali possono manifestarsi nell’anoressia. Lo svezzamento è un momento fondatore che “lascia nello psichismo umano la traccia permanente della relazione biologica che interrompe”. La nascita è la prima relazione biologica interrotta, è l’uscita da un’omeostasi che instaura una tensione vitale, “intenzione mentale”. Egli mette in luce come il piccolo d’uomo nasca incompiuto e ha quindi bisogno dell’altro, “il complesso di svezzamento fissa nello psichismo la relazione di nutrimento nella modalità parassitaria imposta dai bisogni della prima infanzia”. Seguendo il commento al testo di Francois Ansermet, potremo dire che attraverso una sottrazione d’oggetto, una sottrazione di godimento, il bambino va verso l’altro per prelevare quello che gli manca, ed è così che il soggetto si produce. La madre, dunque, salva il bambino dallo sconforto in cui cade alla nascita donandogli il seno. Tuttavia, come lei lo dà, può toglierlo, quindi potenzialmente la madre può dare la morte. Lacan, in questo testo, rileva che è qui che s’istituisce il legame tra la tendenza alla morte e l’appetenza. La tendenza psichica verso la morte nella forma originale datale dello svezzamento si osserva in certi tipi di suicidio non violenti, quali l’anoressia mentale, le tossicomanie e le nevrosi gastriche. Questi casi presentano un principio antievolutivo che Lacan chiama appetito di morte, una fissazione allo stadio orale della libido, che si manifesta come rifiuto dello svezzamento nell’infanzia e ritorna regressivamente nella pubertà. Nello psichico c’è sempre secondo Lacan una connessione tra la madre e la morte, che risulta dall’evidenza clinica dell’anoressia: “L’analisi di questi casi mostra che nel suo abbandono alla morte il soggetto cerca di ritrovare l’imago della madre.”. Esiste, infatti, “cannibalismo fusionale […] che sopravviverà sempre nei giochi e nelle parole simbolici che nell’amore più evoluto richiamano il desiderio della larva – sono questi i termini in cui riconosceremo il rapporto con la realtà sul quale si basa l’imago materna”.
1956-1957 Seminario IV. La relazione d’oggetto.
Negli anni in cui tiene questo Seminario il simbolico, per Lacan, ha il predominio sugli altri due registri, immaginario e reale. In questo Seminario prende in considerazione il rapporto dialettico che il soggetto anoressico intraprende con l’AltroLacan spiega il Fort-Da freudiano, come una “relazione con la presenza su sfondo di assenza”La madre è il luogo dove può manifestarsi il Fort-Da, dove il bambino sperimenta il simbolico. Afferma: ”Non c’è dono se non costituito dall’atto che lo ha preliminarmente annullato o revocato […] Il dono si manifesta all’appello. L’appello si fa sentire quando l’oggetto (la madre) non c’è.”Nell’anoressia, però, si può parlare di madre reale, onnipotente che può dare e togliere tutto. Lacan coglie un duplice aspetto, per certi versi antinomico, sintetizzato nel concetto che “[…] l’anoressia mentale non è non mangiare, ma non mangiare niente [ …] Niente è appunto qualcosa che esiste sul piano simbolico.”Il primo aspetto è che mangiare è un'azione. Grazie all’azione di mangiare niente il bambino, come l’anoressica, fanno dipendere la madre da loro e ribaltano l'onnipotenza materna, tentando di aprire una breccia nell’Altro. E’un appello all’Altro per cercare di far esistere il proprio desiderio. L’anoressia in questo senso ha una posizione attiva, è un’azione che rivela il Niente dell’amore. Il secondo aspetto è che l’oggetto niente (rien) è un oggetto puramente simbolico. Un significante puro, è il significante dell’irriducibilità del desiderio agli oggetti del bisogno e del godimento. L’anoressica dimostra che il soddisfacimento del bisogno compensa la frustrazione d’amore ma nessun oggetto reale riesce a colmare l’assenza della madre, il malessere primordiale. Il vero dono è quello della parola, di attribuire senso al grido “Sin dall’origine, il bambino si nutre di parole quanto di pane, e perisce di parole”
1958 La direzione della cura e i principi del suo potere
Lacan in questo scritto riprende il caso de L’uomo delle cervella fresche di Kris. Secondo Lacan si tratta di un caso di anoressia mentale e la sua questione “[…] non è il fatto che il suo paziente non ruba, ma è che [ …] egli ruba niente” così come l’anoressica mangia niente. Questo paziente lamenta della paura di essere un plagiario; secondo Lacan il punto è che non gli viene neppure in mente di poter avere un’idea propriaLacan parla a questo proposito di anoressia, nel senso di “un’assenza di appetito rispetto al desiderio di cui vive l’idea”. Questo paziente non ha appetito, ha un rifiuto rispetto al desiderio di dar vita alle idee, ha paura di avere idee proprie, s’immagina di rubarle. Egli suppone che le idee siano un avere dell’Altro, un desiderio dell’Altro e a questo oppone il suo niente: niente idee.
Inoltre, sempre in questo testo Lacan, pone l’accento sul fatto che l’Altro “se ne impiccia (del bambino) e al posto di ciò che non ha, lo rimpinza della pappa asfissiante di ciò che ha, cioè confonde le sue cure col dono del suo amore.”. Il bambino desidera che la madre abbia un desiderio al di fuori di lui, perché questa è l’unica via che può aprirgli la strada come essere desiderante. La madre, che confonde le sue cure con il dono d’amore, lo ignora, e questa ignoranza è ciò che il soggetto anoressico non perdona; “è per l’ignoranza che non c’è perdono”
1964 Seminario XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi.
In seguito alla svolta avvenuta con il Seminario X L’angoscia, comincia a delinearsi l’importanza dell’oggetto piccolo a come resto non significantizzabile e il registro simbolico comincia a ridurre il suo predominio. Nel Seminario XI per quanto riguarda l’anoressia, Lacan è in tensione tra due posizioni. Da un lato l’anoressia è intesa come una provocazione dialettica verso l’Altro tesa a produrre in lui, attraverso l’angoscia di morte, una mancanza. La separazione, infatti, si produce quando il bambino incontra l’enigma del desiderio dell’Altro e di fronte alla mancanza dell’Altro, risponde offrendo la propria mancanza, che può prendere nella posizione anoressica la forma della propria scomparsa. La minaccia di sparizione, è incarnata dal soggetto nel corpo e pone all’Altro parentale la questione: “Può perdermi?”. Il fantasma di morte, di sparizione è un modo di testare l’Altro. “Il processo anoressico conduce il corpo ad alimentarsi di se stesso”cannibalicamente, come rifiuto del complesso di svezzamento. Dall’altro lato l’anoressica mangia il niente, dove rien è un oggetto reale, oggetto a irriducibile al campo dell’Altro. Compare qui una posizione di godimento senza l’Altro, una pratica pura di godimento fuori significante.
1974 Seminario XXI. Les non dupes errent
Dal Seminario XX Ancora in poi il reale acquisisce sempre più importanza rispetto al simbolico e all’immaginario. L’inconscio ora è anche reale, reale che emerge soprattutto nel fuori senso. Nella lezione del 9 aprile 1974, Lacan evidenzia come nel soggetto anoressico non c’è il tentativo di aprire nell’Altro una mancanza, e che il godimento anoressico si costruisce sul diniego radicale del sapere inconscio, di cui il soggetto non vuole saperne niente. Alla base del rifiuto anoressico del sapere inconscio, si situa l’orrore per l’inesistenza del rapporto sessuale che sta alla base di tale sapere: “[...] ciò che presiede al sapere non è il desiderio, ma l’orrore”. Nello sviluppo avanzato dell’insegnamento di Lacan “il sapere è godimento”. Esiste un nocciolo reale, non significantizzabile al cuore del sapere e questo implica una riformulazione dello statuto dell’inconscio. L’anoressica non riempie di domande gli altri, volendo sapere e supponendo loro un sapere, ma intrattiene con il sapere un rapporto analogo a quello che ha con il cibo: “per me pochissimo”. Lacan interroga le anoressiche sul perché “Io mangio niente” e riferisce che “l’anoressica è talmente preoccupata di sapere se mangia che, per scoraggiare questo sapere, […] questo desiderio di sapere, […] si lascerebbe crepare di fame”. Egli ne deduce che la ruminazione anoressica attorno al sapere se mangerà o meno è una pratica di godimento senza limite, che assorbe integralmente la paziente eclissandone la soggettività. Questo godimento senza limite la mantiene immobile rispetto al sapere e getta il suo corpo nell’oblio. La rottura epistemologica con le tesi precedenti, secondo lo psicoanalista Cosenza, riguarda l’azione anoressica mangio niente. Azione che non punta più ad aprire una mancanza nell’Altro, ma al contrario evidenzia un rifiuto dell’Altro come tale, rifiuto del sapere inconscio come qualcosa che fa orrore, al punto di lasciarsi morire piuttosto che incontrarlo; “l’anoressia costituisce […] un sistema di vita e di pratiche materiali quotidiane che ruotano attorno al sintomo, che operano per difendere il soggetto dal divenire zimbello dell’inconscio e sottomesso alle sue manifestazioni.”La paziente, dunque, immobile e indivisa si lascia assorbire dal sapere desoggettivato sul cibo che le serve per eludere l’incontro con la castrazione, ossia con la mancanza dell’Altro e con la propria divisione soggettiva. L’ossessività sul cibo e la ruminazione coprono l’incontro con l’orrore del sapere che riguarda il non rapporto sessuale. Il sapere sul cibo è un sapere pieno, controllato che evacua il sapere inconscio. E’ un sapere che esiste e che agisce di per sé, l’essere parlante lo subisce, non lo padroneggia, ma anzi ne è esso stesso un effetto.
Jacques Alain Miller
J. A. Miller riprendendo il pensiero dell’ultimo Lacan, sottolinea che la posizione anoressica mette fuori gioco l’Altro. Miller parla di rifiuto dell’Altro, distinguendone due versanti: il rifiuto anoressico come forma radicale dell’isteria e il rifiuto come al di là dell’isteria. Nel paradigma isterico il rifiuto anoressico deve essere inteso come una versione radicalizzata del “No”. Nell’anoressia isterica il rifiuto del cibo si presenta come manovra essenziale per dimostrare che lei esiste al di fuori dell’onnipotenza dell’Altro. In questa prospettiva l’anoressia mostra il versante più estremo della separazione, pretendendo di eliminare il bisogno. L’anoressica nega di essere viva, facendo obbiezione al piacere, negando ogni piacere corporeo, ogni erotizzazione e consegnando tutto alla sublimazione. Si può dire che “l’anoressia è la struttura di ogni desiderio […] incarnazione clinica radicalizzata del desiderio”. Questo desiderio puro mira a divaricare l’oggetto del bisogno dal segno d’amore fino alle sue conseguenze più estreme. E’ come se dicesse all’Altro parentele, non ho bisogno del tuo cibo,ma del segno del tuo amore,che appunto non è il cibo,ma è nell’ordine della mancanza come dono. E’ un appello inconscio rivolto al desiderio dell’Altro. Questo rifiuto isterico dell’Altro anche se radicale è molto diverso dal rifiuto strutturale che è un No all’Altro in quanto tale, un No alla Bejahung primaria che sottende le forme psicotiche. In questi casi questo rifiuto dell’Altro esprime un godimento del proprio sintomo sganciato dall’Altro. Un godimento senza l’Altro, che pone l’Altro fuori dialettica.
L’introduzione nel pensiero psicoanalitico per opera di Miller, della nozione di “psicosi ordinaria” estende il campo della psicosi a quei quadri cinici che in assenza di fenomeni elementari (allucinazioni e deliri) sottendono una non iscrizione nel registro simbolico e quindi un godimento non regolato dalla metafora paterna. La tenuta sintomatica dell’anoressia, è letta quindi, alla luce della logica borromeica, che è la forma singolare a ciascun individuo di annodamento dei tre registri (immaginario, reale e simbolico). La consistenza speciale che trova nel corpo e nella sua immagine ideale, sarebbe per l’anoressica, la forma di annodamento particolare che supplisce in modo inefficace alla precaria iscrizione del significante fallico. Il sintomo anoressico, in una struttura psicotica, ripara compensandola la frammentazione.
Molte anoressie isteriche si scatenano nella pubertà in coincidenza con il passaggio all’essere donna e all’incontro con la sessualità adulta. L’incontro con il godimento, per queste pazienti, risulta traumatico e inammissibile. In altri casi nei quali spesso la struttura di base è psicotica, lo scatenamento è dovuto ad una perdita impossibile da simbolizzare.
Manuel Férnandez Blanco
Secondo Blanco la dimensione simbolica si presenta disattivata o assente nell’anoressia mentale. L’anoressica incarna nel reale la propria questione rispetto all’Altro, incarna nel proprio corpo la domanda: Può perdermi? ma lei stessa non perde, non manca perché si fa lei stessa, nel reale, l’oggetto perduto per l’Altro. Si può dire che il soggetto anoressico tende a scavare nell’altro un buco nel reale con la propria morte. Lei incarna la vittima in una vita senza l’Altro, una vita che prescinde da ciò che l’Altrole può offrire. L’anoressia, afferma Blanco, è un sintomo per l’Altro del soggetto, nel senso che è enigmatica per l’Altro. “Uno stile di vita non è un sintomo: è esattamente l’opposto, perché mentre il sintomo è egodistonico, lo stile di vita è […] egosintonico”. Il sintomo è il punto in cui il soggetto entra in contraddizione con se stesso, la colpa che il soggetto prova, indica che non si dichiara innocente. Nelle anoressiche, invece, compare un intenso senso di colpa quando tradiscono l’anoressia. La questione è “come ricondurre il soggetto anoressico nella cura al punto nel quale la sua scelta, nel bivio tra la costruzione di un sintomo e il passaggio all’atto anoressico, andò verso l’anoressia, e come aiutarlo a scegliere di nuovo ma nella direzione di un sintomo analizzabile in senso freudiano.”
Nelle madri delle anoressiche appare un atteggiamento di schiacciamento e di negazione della soggettività e della domanda della figlia. Il bambino è considerato un corpo da nutrire e lei ha difficoltà a riconoscere altre necessità. “La madre si presenta come un altro asfissiante per il soggetto che con le sue continue domande che mangi, tappa e annulla qualunque spiraglio di soggettività nel bambino”C’è un vincolo materno-filiale di saturazione asfissiante, ed è la figlia che, in questi casi, deve farsi carico dello svezzamento, della separazione.
Carole Dewambrechies-La Sagna
Un punto di vista diverso è quello di Dewambrechies-La Sagna che s’interroga se l’anoressia sia una posizione oppure una struttura a sé stante, irriducibile ai quadri clinici nevrotici o psicotici. Nel suo articolo L’anoressia vera della ragazza distingue tre tipi di anoressia: quella isterica, quella che sottende una struttura psicotica e l’anoressia vera. Definisce l’anoressia vera come “fuori discorso di fatto ma non di struttura”. Questo significa che il soggetto può avere un funzionamento di tipo psicotico circoscritto al campo inerente alla sua dimensione sintomatica, senza tuttavia esserlo. Questo quadro clinico presenta alcune peculiarità rispetto agli altri, prima tra tutte, la potenza del rifiuto sia del cibo sia della cura. Inoltre la parola di questi soggetti non ha valore simbolico ma gira a vuoto. Nei quadri isterici, secondo l’autrice, il rifiuto del cibo funziona per il soggetto come modalità di fallicizzazione di sé che rende il proprio corpo più desiderabile agli occhi dell’Altro, lei attraverso la magrezza del corpo vuole catturare il desiderio dell’Altro. Nelle strutture psicotiche, invece, sono frequenti soprattutto i sintomi paranoici nella forma di un’angoscia di contaminazione alimentare.
La seconda tesi chiave articolata dall’autrice e che si tratta di una clinica dell’angoscia. Le pazienti, secondo la Dewambrechies-La Sagna, non presentano angoscia, sono indifferenti rispetto alla propria condizione, ma l’angoscia nell’ambiente familiare è massima. Scrive: “L’angoscia è sempre presente nel quadro clinico in una forma speciale, quella dell’angoscia dell’altro”. Angosciare l’altro è un’azione propria della posizione anoressica. Secondo la psicoanalista è necessario un ricovero in una struttura adeguata o comunque un allontanamento dalla famiglia d’origine perché “[…] l’anoressica si angoscia quando la si separa dall’angoscia dell’Altro, quando non è più ormeggiata all’angoscia dell’Altro”. Ed è l’incontro con la propria angoscia l’elemento imprescindibile alla cura. L’incontro con l’angoscia spezza la supposta pienezza egosintonica dell’anoressica e apre la porta al disagio della divisione soggettiva, restituendo al soggetto la responsabilità della sua decisione inconscia. Nel trattamento la Dewambrechies-La Sagna mette l’accento sull’attesa, la domanda dell’Altro è sospesa: il soggetto può imparare a domandare. L’anoressica si presenta come un soggetto senza domanda, che “tende a cancellarsi nel sintomo”Quando la domanda è rimessa in circolo, qualcosa nell’anoressica s’incrina, esponendola al desiderio dell’Altro. Inoltre, ha un posto centrale, il sapere in quanto depositato, nella vita quotidiana ora per ora. Questo modo di procedere solleva la paziente “dell’impossibile compito per lei di sapere se mangia o no. Nessuno le pone la questione ciò che resta nel piatto è semplicemente annotato sistematicamente dalla persona che ritira il piatto”.
Il pericolo maggiore, secondo l’autrice, una volta ripreso un peso adeguato alla vita è una ricaduta depressiva che espone le pazienti al rischio del suicidio. Se arrivano, infatti, alla nuova immagine spinte dalla volontà di aderenza alla richiesta dell’Altro, il loro spazio soggettivo è inesistente. Anche Fulvio Sorge, riprendendo Freud, evidenzia la stretta connessione tra la fissazione libidica allo stadio orale cannibalico di melanconia e patologie alimentari.
Massimo Recalcati
Secondo Massimo Recalcati esiste una “qualità psicotica” in quello che per l’autore è un unico circuito anoressico-bulimico animato da una medesima logica di funzionamento riscontrabile nella clinica, al di là del riferimento a una struttura psicotica del soggetto. L’inclinazione olofrastica che caratterizza il discorso stereotipato e anonimo dell’anoressica riguardo al peso, al cibo e al corpo, secondo l’autore, testimonia un desiderio debole e poco soggettivato anche nelle forme nevrotiche.
Recalcati, inoltre, teorizza l’esistenza di un passaggio difettoso del soggetto attraverso il crocevia strutturale dello stadio dello specchio. Il bambino incontra, in questo frangente critico, la smorfia dell’Altro come giudizio super egoico di disprezzo o svalutazione rispetto all’immagine del suo corpo. Nella storia delle pazienti possiamo reperire l’incontro precoce con dei significanti traumatici, frasi e giudizi, che hanno funzionato come significanti-padroni attorno ai quali si è articolata la vita del soggetto.
Pietro Enrico Bossola
Il titolo di un articolo di Bossola, Il Pacifico della madre, che si rifà a Lacan del Seminario VIII, sta ad evocare l’idea dell’incommensurabilità che la posizione materna può acquisire, la dimensione del senza limite, dell’oceanico, di qualcosa che tranquillamente sommerge tutto. Bossola mostra come in queste pazienti, seguendo il pensiero Pierre Naveau, avvenga la metamorfosi del desiderio in volontà di dominio e la conseguente impossibilità della domanda d’amore per l’eclissi della mancanza. Le anoressiche dichiarano di non aver bisogno di nulla, di essere in grado di risolvere tutto da sole. Gli enunciati sono senza interrogazione e “Il sapere è otturato dalla pura volontà. Non esiste articolazione […] è la morte del dire”. L’anoressica è una paladina del desiderio puro, ostile al desiderio di sapere che va verso il godimento dell’Uno, olofrastico e non dialettico, al cui cuore vi è l’oggetto niente. Rimanendo in questa posizione di blocco ciò che fa impasse è l’amore, perché l’amore nasce dalla mancanza, questo è il punto dove lei è più in difficoltà.
Giuliana Grando
La Grando mette in evidenza come il ricorso alla patologia alimentare può essere un modo per costruire al posto del sintomo adolescenza, un sinthomo, dove l’immaginario e il reale del godimento si congelano attorno ad un significante che rappresenta il soggetto, al di là dell’appartenenza ad un sesso piuttosto che ad un altro. La questione sono uomo o donna?, può essere risolta, dove esiste l’impossibilità di costruire una metafora, con un olofrase: sono un’anoressica.
E’ interessante notare come questo effetto di nominazione, insieme all’effetto di separazione, dovuto al rifiuto dell’Altro, accomunano l’anoressia con le tossicomanie, così come Lacan aveva in precedenza scritto nei Complessi familiari.
Domenico Cosenza
Cosenza nel suo libro Il muro dell’anoressia pone l’accento sulla questione del rifiuto nell’anoressia come fattore che univoca le diverse condotte delle pazienti: rifiuto del cibo, del corpo femminile, della sessualità, del legame sociale, della cura. L’anoressica è “incarnazione radicalizzata del rifiuto”. Secondo l’autore, bisogna comunque sempre indagare le diverse strutture soggettive delle pazienti e le loro singolari ed irriducibili modalità di godimento, al di là della monotonia fenomenologica dei comportamenti rifiutanti. Cosenza distingue, quindi, quattro differenti matrici del rifiuto.
La prima matrice è quella dialettico-isterica che struttura il rifiuto come domanda inconscia rivolta all’Altro. In questi casi l’aggravamento sintomatico nelle anoressie nevrotiche si può leggere metaforicamente, come un mettere alla prova la tenuta dell’analista nella sua posizione di desiderio. Secondo lo psicoanalista, si dovrebbe occupare nel transfert il posto di un Altro rispetto a quello incontrato dal soggetto nella sua storia: “un Altro capace di riconoscere nel rifiuto nevrotico che il soggetto ci rivolge lo spessore simbolico di una domanda inconscia”. L’analista, dunque, non risponde né con l’angoscia, né con l’indifferenza alla minaccia di sparizione della paziente, ma occupa il luogo di una spinta vitale che orienta il soggetto a dire ciò che vuole, a produrre il proprio desiderio.
La seconda matrice è quella della difesa dal reale. Si tratta di una protezione da ciò che giunge dall’Altro, dal reale pulsionale, che vale sia per le anoressie con struttura nevrotica che per quelle psicotiche. Le isteriche si difendono da qualcosa che vogliono, ma che le disgusta. Nelle psicosi paranoiche, questa difesa, può prende la forma di deliri di veneficio o di contaminazione. Nel lavoro con le psicosi il tentativo è quello aiutare il soggetto a trattare “l’Altro onnipotente e sadico da cui si difende […] Se si riduce l’onnipotenza dell’Altro allora il sintomo alimentare […] può anch’esso temperarsi e funzionare come autoterapia compensatoria stabilizzante che non lo espone al rischio di morte o di scatenamento.”.
La terza matrice è quella del tentativo di separazione del soggetto dall’Altro e dal legame sociale. L’anoressia è una clinica in deficit di separazione, in particolare dall’Altro materno che spesso è invasivo o abbandonico. L’anoressica vuole una separazione senza perdita e dunque mette in atto una presa di distanza immaginaria che non fa altro che preservare l’onnipotenza dell’Altro materno. Lacan, chiama discorso quel dispositivo logico che riguarda il modo in cui ogni soggetto ha a che fare con il proprio godimento e con l’Altro. Il discorso serve a creare il legame sociale. L’anoressia si presenta come esito possibile del fallimento della famiglia come discorso. Il discorso familiare fallisce, come scrive Costanza Costa, quando una famiglia non è in grado di separare i propri membri e di regolare il godimento in circolo tra loro. I legami nelle famiglie di queste pazienti producono disperazione sia quando ci sono, che quando non ci sono e denotano l’impossibilità sia della separazione sia dell’unione.
La quarta matrice è quella del godimento.Il rifiuto è il modo di godimento specifico dell’anoressia. Lo svezzamento implica una perdita di godimento che l’anoressica non accetta e positivizza con l’oggetto niente che diviene un oggetto non perduto. E’ una clinica dove manca la mancanza, una clinica del pieno di godimento. La sua modalità trattiene ed eternalizza nel corpo questo niente, per vanificarne la perdita. Nel trattamento è preliminare produrre una perdita di godimento,come condizione di avvio della cura, questo renderà possibile una rettifica soggettiva in pazienti nevrotiche o una rettifica dell’Altro in pazienti psicotiche. La rettifica dell’Altro con le pazienti psicotiche è lo svuotamento del campo dell'Altro dalla piena di godimento ed è mostrare alla paziente che nell’Altro “è possibile incontrare un punto di ancoraggio affidabile”.
Cosenza come la Dewambrechies-La Sagna sostiene che l’anoressica non presenta angoscia. Un corpo uno cui il soggetto non ha potuto sottrarre niente è meno esposto all’angoscia. L’angoscia è lasciata interamente all’altro, sotto i cui occhi l’anoressica mostra la perdita al limite della morte. In questo senso è importante che i curanti non si lascino angosciare dal pericolo di morte imminente: “Quando l’anoressica incontra un’Altro che non si lascia angosciare da lei, l’arma […] con la quale esercita il suo controllo viene disattivata”. Cosenza rimarca anche l’importanza di non rispondere mai con il rifiuto a queste pazienti. Il ricovero, dove necessario, non dovrebbe essere posto in una modalità espulsiva ed angosciante, ma andrebbe sostenuto come l’unico modo per reintrodurre un limite “un argine simbolico” al debordare del sintomo. Spesso l’anoressica tende a rendersi insopportabile con la sua fissità immutabile e il suo arroccamento al sintomo. A volte, anche nei curanti, questo può scatenare in loro reazioni rabbiose e rifiutanti. Tuttavia, è proprio disinnescando questo meccanismo, attraverso un cambiamento della posizione dell’altro che è possibile evitare la chiusura del soggetto alla cura. L’anoressica dovrebbe poter incontrare un altro che “rimanga attivamente al proprio posto nel rapporto con lei, qualunque cosa accada, senza né divorarla né rifiutarla”. In questo modo, secondo l’autore, è possibile evitare che la paziente “ realizzi quella che in massimo grado diviene la sua posizione di godimento sintomatico per eccellenza: essere lo scarto, il rifiuto dell’Altro”.
Irene d'Elia Psicologa Psicoterapeuta Psicoanalista Cesenatico e Ravenna. Tutto il materiale contenuto in questo sito (testo e foto) è protetto da copyright. E' vietata la riproduzione anche parziale. Non vi è responsabilità dei siti correlati e dei loro contenuti.
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